17° ÉCU
The European Independent Film Festival 2022
8 - 10 aprile 2022
Colloquio
Luca Di Paolo
Deathmate
Sezione: Cortometraggio drammatico europeo
ecufilmfestival.com
Versione inglese
Deathmate è un'app di incontri per persone che vogliono condividere la propria morte, molto in voga tra gli adolescenti. Alessio incontra Francesca grazie all'app, i due trascorrono una notte insieme prima di decidere le sorti delle loro vite.
Ciao Luca, grazie per aver accettato l’intervista con The New Current, come hai tenuto duro in questi tempi così strani?
Per cominciare posso dire di aver iniziato a vedere molto di più film o serie tv comiche. Accendere la tv e vedere nei tg cosa sta accadendo nel mondo è straziante. Dunque, ho avuto bisogno di controbilanciare vedendo più commedie rispetto al mio solito.
Questo periodo ti ha offerto nuove ispirazioni o opportunità?
Sì, con la pandemia ho avuto molto più tempo per scrivere. Ho scritto due film che hanno dei toni diversi rispetto a “Deathmate”. Il cortometraggio invece è stato scritto prima della pandemia.
Congratulazioni per la partecipazione di Deathmate al 17° ÉCU Film Festival, cosa significa per te proiettare il tuo film a Parigi?
Parigi è la città del cinema, ed è davvero un onore poter presentare “Deathmate” all'ÉCU Film Festival. Inoltre, tra i festival internazionali a cui ha partecipato il corto, questo è il primo a cui riuscirò ad essere presente fisicamente. Non vedo l'ora di essere lì.
Puoi dirmi come è nato Deathmate, come ti è venuta l’ispirazione?
Di preciso non c'è un momento esatto in cui mi è venuta l'ispirazione. Ci sono stati diversi step. Quel periodo si parlava tanto della Blue Whale ed era un fenomeno che mi aveva sconvolto. Poi erano uscite le nuove stagioni di Black Mirror e Thirtheen Reasons Why che mi hanno fatto appassionare sempre di più alla distopia, e in parallelo alla tematica sociale del suicidio adolescenziale. Nella mia testa cercavo un conflitto interiore forte da mostrare, come ho fatto anche nei miei altri lavori. Alla fine, mi sono detto che quello tra l'amore per la vita e il suicidio fosse il più forte. Così è nato “Deathmate”. Il mio sogno è che questo cortometraggio possa diventare il pilota della serie omonima, che ho già scritto.
Sul set del cortometraggio Deathmate, quanto sei stato in grado di attenerti alla sceneggiatura, ti sei concesso una certa flessibilità?
In realtà no. “Deathmate” è il mio terzo cortometraggio. In quelli precedenti spesso rivisitavo molto la storia in fase di montaggio. Con “Deathmate” invece ho deciso di lavorare molto di più sullo script per scrivere qualcosa di più pop, con una struttura più classica. Per questo sia sul set che al montaggio sono stato fedele il più possibile alla sceneggiatura.
L'unico punto della sceneggiatura su cui ho dovuto cedere, era per una questione puramente di budget. Ovvero c'erano proprio dei limiti, all'inizio volevo ricreare un contesto più sci-fi, più spiccatamente futurista. Poi ho capito che la storia non aveva bisogno necessariamente di quell'estetica, e che poteva essere ambientata tranquillamente nel contesto urbano romano.
Il suicidio è un problema globale che non riceve tutta l'attenzione che dovrebbe, hai avuto qualche apprensione nel fare un cortometraggio su un tema così importante?
Certo. Inizialmente avevo paura di non essere in grado di affrontare un tema del genere. Avevo paura di poterlo fare con superficialità. Allora è iniziato il periodo di ricerca riguardo il fenomeno. Ho iniziato a scrivere “Deathmate” nel 2017, solo nel 2019 era pronto per essere girato. Studiando il fenomeno del suicidio adolescenziale mi sono fatto anche una mia idea. Diciamo che i giornalisti, ma in generale tutto il mondo degli adulti, sembra che abbia quasi paura ad affrontare il tema. Del suicidio adolescenziale non se ne parla mai. Anche se le statistiche sono davvero sconfortanti. E soprattutto informandomi meglio ho scoperto che non se ne parla proprio per una questione di natura deontologica. Si pensa che parlandone, il rischio possa essere quello di alimentare il fenomeno. Io non sono minimamente d'accordo con ciò. Se c'è un problema, per risolverlo non puoi far finta che non esista. Penso che l'unico modo per uscirne sia abbattere questa mentalità vecchia. C'è bisogno di maggiore dialogo con i ragazzi, di maggiore consapevolezza riguardo questo fenomeno. Solo così si potrà combattere. Serve maggior supporto psicologico ai ragazzi di qualsiasi età, e soprattutto deve essere gratuito.
Inoltre, con l'avvento della pandemia, questo fenomeno è aumentato vertiginosamente. Quando ho girato “Deathmate” non pensavo che i dati potessero crescere ancora. Invece è successo. Dopo i vari lockdown siamo arrivati ad un vero e proprio punto di non ritorno. E soprattutto sentire che evitare di discutere riguardo queste problematiche sia la soluzione mi fa venire i brividi. Penso che la colpa dei problemi della mia generazione derivi anche da questo modo sbagliato di pensare della generazione precedente.
Qual è stata la più grande sfida che hai affrontato nel dare vita a Deathmate e guardando indietro c'è qualcosa che avresti fatto diversamente in questo film?
La sfida più grande per me da sceneggiatore, regista e produttore è stata quella di riuscire a girare il tutto al meglio, entro i due giorni e mezzo di ripresa stabiliti. Girare per più giorni sarebbe stato molto difficile per il budget che avevo a disposizione. Forse se tornassi indietro avrei aspettato di avere più budget per girarlo. Forse però aspettando tanto non l'avrei mai girato.
Sei laureato in Arti e Scienze dello Spettacolo alla Sapienza e attualmente stai facendo il master in Sceneggiatura, Produzione e Marketing sempre alla Sapienza, com'è stata per te questa esperienza?
Studiare alla Sapienza è stato bellissimo. Il master si è concluso, nonostante si sia svolto per metà durante il lockdown, posso dire che mi ha fatto migliorare molto, soprattutto per quanto riguarda la scrittura.
Quanto il tempo trascorso alla Sapienza ti ha aiutato a prepararti per il tuo percorso cinematografico?
Tantissimo. Soprattutto per quanto riguarda la scrittura della sceneggiatura. Ho letto tantissimi manuali che ho amato e sono diventati davvero fondamentali per me. Penso che dal mio primo corto realizzato a 19 anni, prima di entrare alla Sapienza, a “Deathmate”, ci sia stato un grande cambiamento soprattutto per quanto riguarda aspetti di scrittura.
Hai sempre avuto la passione per il cinema e quanto è cambiato il tuo approccio ai film da quando hai iniziato a fare cortometraggi?
Racconto per immagini da quando avevo nove anni. Avevo una JVC che andava a mini dv e montavo il tutto con Pinnacle Studio 9. Poi nell'adolescenza ho sempre continuato a girare, dai cortometraggi con gli amici, ai videoclip musicali. Ovviamente man mano che crescevo l'attrezzatura con cui giravo diventava sempre più professionale. Poi a 19 anni, per la maturità ho deciso di realizzare un cortometraggio. Ho pensato che fosse il modo migliore per chiudere il percorso al Cine-tv R. Rossellini dove mi sono specializzato in montaggio. Però non volevo che fosse come gli altri corti, volevo fosse più professionale. Lì per la prima volta ho fatto esperienza della mia determinazione, che penso sia l'unica chiave per il successo in questo settore. Quindi a 19 anni finisco il mio primo corto "Voci", ancora disponibile su YouTube, e da lì mi rendo conto che raccontare le storie attraverso il cinema è l'unica cosa che mi fa sentire in pace con me stesso.
I registi dovrebbero continuare ad oltrepassare i confini delle storie che vogliono raccontare?
Certo. Altrimenti il cinema muore. Io con “Deathmate” penso di averlo fatto. Per il budget che avevo, quando andavo dalle produzioni a raccontare la trama, si mettevano a ridere. Tutti mi dicevano che sarebbe stato impossibile girare questo corto con quel budget. Inoltre, il genere sci-fi purtroppo viene ancora visto male dai produttori italiani. Pensano sia troppo costoso per i VFX. Non riescono a capire che i tempi sono cambiati.
Parlando quindi del contesto italiano posso dire che i filmmakers devono spingersi oltre i loro limiti per raccontare nuove storie. Ma il problema nasce dal momento in cui incontrano le produzioni. Lì arrivano i problemi. Penso che finché non cambierà la mentalità del produttore medio italiano, non avverrà questa rivoluzione nelle storie. E per cambiare mentalità ai produttori servono produttori più giovani. E il problema dell'Italia è proprio questo secondo me, per una produzione neocostituita ci sono davvero pochi vantaggi. Quindi per un produttore giovane è sempre più difficile avviare un'impresa.
"Quindi il mio consiglio è di studiare cinema, ma non per forza in accademie private, costosissime. L’importante è che fuori da scuola continuiate a girare le vostre storie per migliorare sempre."
Per chiunque là fuori stia pensando di entrare nel mondo del cinema o di frequentare una scuola di cinema, hai qualche consiglio da dare?
Certo. Penso che studiare cinema sia fondamentale e aiuti molto i registi più giovani. Allo stesso tempo non c'è cosa più importante per un regista che girare le proprie storie per imparare sempre di più a coordinare il set e trovare un proprio gusto. Quindi il mio consiglio è di studiare cinema, ma non per forza in accademie private, costosissime. L’importante è che fuori da scuola continuiate a girare le vostre storie per migliorare sempre. Sono dell'idea che è meglio investire in un bel corto che pagare un anno di istruzione in un’accademia privata.
E infine, cosa speri che la gente impari da Deathmate?
Il mio sogno con la serie è quello di portare un messaggio di speranza a tutti i giovani. I personaggi nella serie si trasformano, cambiano mentalità, fanno di tutto per lottare contro l'aumento dei suicidi scatenati dall'app. “Deathmate” sarà un vero e proprio inno alla vita.
Anche con il cortometraggio di “Deathmate” penso di essere riuscito a far arrivare al pubblico questo messaggio. Come vedrete Alessio cambia completamente opinione sui piani della serata. Questo lo porterà ad avere una visione diversa della vita.
Spero che chi veda “Deathmate” possa imparare a lottare contro qualsiasi difficoltà nella vita. Senza mai arrendersi. Non ci si può arrendere alla vita.